La Moda

Tutto cominciò quel pomeriggio di primavera quando vidi per la mia prima volta mia nonna Carla cucire l’abito delle nozze di mia zia Simona. Avevo solamente tre anni ma il ricordo di quanto amore e dedizione metteva la mia cara nonna su quell’abito è rimasto vivo dentro di me fino ad oggi. Era un abito di seta bianca come decorato sul décolleté e sulla gonna di un pizzo prestigioso, il pizzo macramè. Fu proprio mia nonna Carla, sarta di Chanel e per le Sorelle Fontana, che mi insegnò come riconoscere i tessuti di qualità, come deve fluire l’abito per valorizzare la camminata della donna ed infine qual era il giusto taglio dell’abito a seconda delle differenti taglie e misure. Mi crebbe nel mondo della moda e delle grandi imprese di moda e sin da subito mi coinvolse nella sua professione come piccola aiutante. Fu da lì che mi innamorai per davvero della moda scegliendo le tonalità, i motivi, gli accessori da abbinare accanto ad ogni suo capolavoro. Dopo la sua morte non continuai a lavorare gli abiti nella stessa maniera in cui li lavoravo prima e persi il ritmo ma non la passione. È da quest’anno che ho riacquistato la mia passione grazie alla voce del mio angelo-custode (alias nonna Carla) che ha risuonato nel mio cuore dicendomi che la moda sarà il mio futuro. Mi sono resa conto che, attraverso il gran lavoro interiore che ho fatto durante la quarantena, la moda è il mio scopo nella vita, perché è la mia motivazione quotidiana. La moda, secondo la mia opinione, è dare vita alle personalità e alle anime delle persone attraverso i colori, i materiali e i differenti stili. Inoltre fornisce l’opportunità di esibirsi liberamente al pubblico, cioè al mondo, per ciò che si è. Vestirsi bene significa amare il nostro corpo e la nostra anima, perciò nonostante le circostanze in cui la vita ci può catapultare è importante avere cura di noi stessi e non privarci mai di nobili e gradevoli abiti. Sono felice di aver scelto, grazie all’appoggio della mia famiglia, la direzione giusta e spero, grazie alla mia caparbietà e alla mia creatività, di coronare il sogno di studiare a Madrid business e relazioni internazionali della moda.

Ludovica Paparella 4’LL

Tema con menzione speciale nel 15° concorso letterario di Tazzinetta Benedefica Onlus

Tema di Chiara Bove  1LSU

 

Nessuno capiva come, quei due, apparentemente diversi potessero essere tanto amici. Nessuno aveva mai realmente compreso i loro sguardi, pieni e solidali, complici di qualcosa che solo loro due riuscivano a comprendere. Sembrava che facessero parte di un mondo diverso, dove regnavano le loro idee e pensieri. I loro volti sapevano di amarezza e incomprensione verso il mondo esterno, avevano un universo tutto loro, dove era impossibile farne parte. Potremmo paragonarli a delle montagne russe. Quando vuoi provare quel brivido che ti attorciglia lo stomaco per la forte velocità a cui vieni sottoposto ma hai troppa paura per salire sopra di esse. Loro erano questo per le persone, affascinanti ma troppo misteriosi per poterli conoscere meglio. Gli sguardi che ricevevano, ovunque essi andavano, cercavano di dare un nome alla loro amicizia. Però, perché bisogna sempre dare un nome a qualcosa? Che cos’erano loro due in realtà? C’è chi diceva che fossero amanti: troppo banale, c’era molto di più. Loro erano originali. Chi, invece, si convinceva che fossero delle persone troppo ambigue e diverse fra loro per essere amici, non avevano tutti i torti. La loro amicizia era un vero e proprio contrasto tra le loro personalità. Il primo, il più piccolo, aveva un tenero sorriso che avrebbe scalfito anche il cuore di un solitario mentre il secondo aveva l’espressione fredda e d’impatto indifferente: eppure ne aveva di sentimenti da rivelare.
Quei due ragazzi si erano conosciuti al liceo. È lì che cominciano le grandi amicizie no?
In verità, nessuno dei due aveva programmato un evento simile o almeno, non il più grande.
Era una giornata d’inverno e molto probabilmente, il più piccolo, avrebbe preferito rimanere nel letto a dormire. Eppure eccolo lì, che sfidava il vento, cercando di riparare il petto scoperto, il quale di solito veniva fasciato da una calda sciarpa, ma che quella mattina era rimasta a casa, per colpa della troppa fretta del più piccolo nell’uscire dall’abitazione.
Le sue scarpe, rovinate e consumate, erano, come sempre, ai suoi piedi che troneggiavano sull’asfalto bagnato dalla recente pioggia che aveva inumidito la città. Il giovane camminava veloce, sembrava volare da come si muoveva. Era leggiadro ed era intento ad arrivare il prima possibile a scuola.
Regnava un tranquillo silenzio, spezzato di tanto in tanto da qualche macchina che passava o dalla suola delle scarpe di lui. Non c’erano molte persone, la maggior parte avrebbe approfittato dello sciopero dei mezzi, restando così appisolati nei loro caldi letti. Il ragazzo respirava piano, l’aria era troppo fredda, che addirittura giungeva ai suoi polmoni ancora gelida.
Non a caso, un intenso bruciore attanagliava il corvino che cercava in tutti i modi di trovare un riparo, anche solo per un minuto. Si sarebbe ritrovato una terribile febbre se avesse continuato a camminare imperterrito senza considerare di entrare in un bar e scaldarsi un attimo. Odiava il freddo, lui era propenso all’estate e alle temperature elevate. Amava le cioccolate calde, però credeva che fosse l’unico aspetto positivo di quella fredda stagione. Eppure, se non fosse stato per quel forte vento d’inverno, non avrebbe mai conosciuto il compagno delle sue più emozionanti avventure.
Arrivava sempre in anticipo a scuola e, quel giorno, non era da meno. Quando aveva visto il cancello scolastico si era sentito decisamente più sollevato all’idea di non dover rimanere ancora a lungo fuori a congelare.
Mentre il semaforo che lo separava dall’edificio segnava il luminoso verde, aveva visto una figura accovacciata davanti al cancello che ormai rappresentava la sua vittoria personale di essere arrivato fin lì con quel tempo spacca ossa.
Non vedeva il capo del ragazzo accovacciato, ma sentiva la sua meravigliosa voce che intonava una canzone che il giovane non aveva mai sentito. Era seduto, schiena contro il muro e, l’unica caratteristica che il corvino riusciva a vedere era una zattera di capelli castano ricci.
Il ragazzo davanti a lui: era raggomitolato e rannicchiato su se stesso, come un gattino d’inverno, come il legno di una sedia a dondolo, come se si potesse permettere quel lusso di essere abbandonato, anche se lui abbandonato non era mai, era soltanto solo per poter vivere in una solitudine popolata di pensieri, perché lui era un po’ uno spaccone dell’infinito e dell’eternità e l’infinito e l’eternità forse aveva un debole per le persone come lui.
La voce del più grande sembrava macchiare in modo dolce e armonioso quel silenzio attorno a loro. Nessuno studente era ancora arrivato e il più piccolo si sentiva onorato di essere il solo ad aver udito un suono così perfetto alle sue orecchie.
La sua voce, gli aveva tolto il fiato, gli aveva strappato l’ossigeno dal petto e le gambe parevano esser diventate gelatina.
Non aveva resistito gli era andato vicino per ascoltare meglio quella che per altri era una semplice canzone con parole messe a caso per lui, era uno dei suoni più affascinati che avesse mai udito.
Riecheggiavano, le sue parole, sempre più tremolanti, sempre più disperate, come se stesse affrontando una lotta interiore. Se inizialmente sembrava accarezzare il più piccolo con gentilezza, adesso, in un forte acuto, tanto angosciante da rubargli il respiro, sembrava colpirlo al petto e distruggerlo completamente. Aveva i brividi, ma non per colpa del freddo, ma per quegli acuti tanto azzeccati quando tremolanti, che rischiavano di far crollare il corvino a terra per il dolore, tanto lo sentiva anche lui.
Il canto si concluse bloccando il respiro del ragazzo in piedi che non appena aveva sentito dei singhiozzi da parte del più grande si era avvicinato ad egli preoccupato.
Quest’ultimo, aveva alzato gli occhi e cercava di non farsi vedere in quelle condizioni da un ragazzo, addirittura più piccolo.
«Ti prenderai un malanno se resti qua fuori» la voce cristallina del più giovane riecheggiava nell’aria e un’intensa nuvoletta di vapore venne rilasciata dalla sua bocca.
Il più grande, finalmente, aveva alzato il viso rivelando i suoi tratti non troppo marcati. Aveva visto, come prima cosa, il sorriso ingenuo del ragazzo davanti a sé e gli era venuto quasi da ridere per quanto si era considerato ridicolo. Eppure non lo era affatto. Il suo sguardo, che il più piccolo aveva compreso appieno, era tutt’altro che esilarante.
I suoi occhi erano due preziose gemme color giada che rivelavano molto di più se si guardava a fondo: non voglio sentirmi solo, per favore, dammi la tua mano e salvami.
E, come se l’avesse letto nel pensiero, il corvino aveva teso il suo braccio verso la sua direzione, invitandolo non solo a rialzarsi, ma ad aggrapparsi a lui, come se fosse un’ancora di salvezza. Perché il più grande stava annegando, è vero, ma stava anche aspettando qualcuno che lo avrebbe aiutato a risalire a galla.
La loro amicizia era nata così: una giornata fredda d’inverno, delle note strimpellate nell’aria e una mano tesa, calda e soffice pronta a salvarlo.
Avevano iniziato a passare tanto tempo assieme, avevano socializzato molto lentamente per colpa della corazza del più grande che pian piano veniva scalfita dal sorriso dell’altro.
Avete presente, quell’amore spiazzante e sconvolgente che riservate solo alla vostra famiglia? Quell’affetto travolgente che, le persone, tendono a scambiare per amore carnale quando in verità è semplicemente il:” io ci sono” sussurrato.
Che tu mi veda o non mi veda, io sono sempre qui con te.
Loro erano questo, troppo per se stessi e troppo poco per il mondo.
Molte cose li aveva uniti, molte cose potevano separarli come pregiudizi o pensieri differenti eppure erano ancora lì, uniti e forti.
Era bello vedere come una semplice amicizia, agli occhi degli altri, era in realtà fiducia e aiuto. In realtà non si è mai soli nella vita, basta guardarsi attorno, ci sono persone, sole o non sole, pronte ad amare o ad essere amate. Bisogna solo fermarsi un attimo, il tempo scorre, i tuoi occhi vagano tra la folla e potrai notare che tutti hanno un proprio vissuto felice o triste.
Avere un amico è come avere una promessa intangibile, è giusto ritenere che sia difficile trovarli, eppure loro due, ci erano riusciti.
La musica, soprattutto, li aveva uniti, scrivevano canzoni ogni volta che ne avevano l’occasione. Molti si chiedevano come facessero a scrivere e produrre canzoni così stupefacenti. Il più piccolo era un abile scrittore, coglieva l’anima del più grande nel modo più innocente e puro che poteva esistere, mentre il più vecchio aveva una voce metodica ma estremamente affascinante, capace di ipnotizzare chiunque. La musica era il loro punto di incontro, era le parole che non potevano rivelare a voce, essa era la loro fonte.
Sapevo che eri tu,
la persona che mi avrebbe salvato,
da quei tristi risvolti della mia vita,
grazie di aver fatto questo per me
per avermi permesso di volare
per avermi dato le ali
per aver sostituito le mie ali spezzate
per avermi svegliato quando stavo soffocando
quando mi limitavo a vivere nei sogni
grazie, per averci reso un “noi”.
Non si sa spiegarlo bene, entrambi erano riconoscenti per la loro amicizia, erano diventati come due calamite, se si spostava uno, si spostava anche l’altro.
Amicizia è esserci quando l’altro ne ha bisogno, amicizia è confondere l’amore con essa, perché arriva quel dubbio che cresce ma che poi si affievolisce facendo capire che è solo una forte e duratura relazione che non può essere conclusa, su due piedi.
Amicizia è quel:” ci sono, non me ne vado” sussurrato all’orecchio che ci fa sentire desiderati ed amati. L’amicizia è identica all’amore, si prova lo stesso sentimento con la differenza che non si esprime carnalmente ma attraverso gesti pieni di straordinaria delicatezza. Il ragazzo corvino sapeva della situazione in casa del più grande. Sapeva delle continue provocazioni e “punizioni” del padre. Sapeva quanto avesse cercato di scappare da lì. Come diceva il castano: era il figlio che nessuno avrebbe mai voluto. Come sempre, si sbagliava. Sosteneva, il raccapricciante padre del maggiore, che fosse uno scansafatiche, che si rifugiava nella musica solo per fuggire dalle proprie responsabilità. Il castano, però, non avrebbe mai immaginato che quell’incubo sarebbe finito solo grazie al minore. Il più piccolo era stato fondamentale, anzi, potremmo dire che era la chiave che apriva un milione di occasioni.
Molto tempo prima, il castano aveva perso la madre. Non aveva nessuno dalla sua parte: solamente il suo piccolo corvino. La sua vita, prima, era un tormento, odiava tutto e tutti. Nessuno avrebbe pensato che, un semplice ragazzo, avrebbe risollevato il morale del più grande.
Per caso o per fortuna, il giovane era sempre lì, a sostenere il suo amico, nel bene o nel male. Un giorno, i due erano a casa del più grande. Nessuno sospettava che il padre del castano sarebbe tornato a casa così presto.
Quando avevano sentito la porta aprirsi e il leggero ticchettio delle chiavi, il loro respiro si era mozzato. Si girarono a guardare la porta contemporaneamente. Il più piccolo, a quei tempi, sapeva molto sulla situazione familiare del maggiore ed era preoccupato per il suo amico.
Il padre, un uomo alto e poco amichevole li stava scrutando, la sua espressione era impenetrabile. Aveva, all’inizio, il viso contratto in una smorfia, forse perché aveva trovato il figlio lì poi però, la sua bocca, si era piegata in un sorriso strafottente, come se avesse trovato il modo per demolire il buon umore del figlio.
«Beh— aveva esclamato beffardo l’uomo— vedo che mio figlio sa fare amicizie, allora. Pensavo fossi completamente inutile.»
Stava osservando il più piccolo in completo silenzio.
«Almeno è ricco? Oppure è un buon a nulla come te?» rideva di gusto mentre si avvicinava a suo figlio con fare minaccioso.
Era a pochi centimetri da lui, lo aveva fatto alzare dal divano e lo aveva preso per il colletto minacciandolo con lo sguardo.
«Non servi a niente, fai sparire questo moccioso dalla mia vista.» aveva detto secco prima di spaccargli il labbro con un forte pugno. Non aveva neanche il tempo di realizzare. Il castano, si era rannicchiato a terra mugolando parole sconnesse per il dolore improvviso. Il cuore del più giovane, nel mentre, era tremendamente tranquillo. Guardava la scena imperterrito come se non lo toccasse minimamente quando non era così. Lui non era il tipo che prende a pugni una persona, non l’avrebbe mai fatto. Sapeva che sarebbe riuscito a risolvere il tutto senza usare la violenza. In ogni caso, il suo cuore era tranquillo. Il suo cuore non era un muscolo trasgressivo, non moriva di noia se restava troppo costante, non amava l’azione, l’adrenalina di un film horror o le palpitazioni di un’accesa discussione. Al suo corpo non piaceva quando il cuore batteva a mille, quando esplodeva nel petto come i bassi di una cassa da concerto. Aveva imparato a gestire situazioni del genere. Aveva imparato a scavare nella propria guancia con la lingua per soffocare l’ansia o la paura. Aveva imparato a non manifestare i sospiri o gli ansimi troppo veloci; potremmo dire che era un ottimo attore quando serviva. Aveva preso il telefono mentre il padre stava picchiando, senza un minimo di vergogna, il figlio. Un’altra cosa che non capiva il corvino era la stupidità del padre del castano. Come poteva picchiarlo davanti a lui? Doveva essere proprio pazzo, irrazionale e tremendamente solo. Un pò come il figlio con l’unica eccezione, però, che egli aveva il corvino. Il minore aveva composto il numero della polizia e stava facendo sentire i colpi che il padre affliggeva al figlio. Si era allontanato un minimo per rivelare al poliziotto la via e lo aveva intimato di fare presto. Quando era tornato in salotto aveva incontrato gli occhi vispi del maggiore che chiedevano aiuto. Gli si era gelato il sangue a quella vista, d’altro canto il maggiore aveva smesso di ribellarsi. Ormai sapeva che nulla avrebbe fermato il padre. Si sentiva come se stesse attraversando una strada ricoperta di vetri rotti a piedi nudi, come se ogni calcio che gli affliggeva valesse un sospiro mozzato. Il più grande, però non era arrabbiato, anzi, pensava a quanto, quei mesi assieme al corvino, gli erano parsi infiniti. A quanto era grato di aver conosciuto una persona cosi soffice d’animo che lo deliziava con la sua semplice presenza. Era il suo migliore amico, il primo tra pochi; anche se non glielo aveva mai detto lo amava come ad un fratello e, non esagero, se dico che avrebbe vissuto volentieri una vita con lui e magari con la famiglia che si sarebbe creato. Così aveva sorriso perchè anche se provava tanto dolore, aveva incontrato il suo vero e primo amico.
«La smetta.— aveva sentenziato improvvisamente il più piccolo—Se non si ferma la denuncio.»
Il tempo era come se si fosse fermato. Nessuno dei due, né il padre né il figlio, si aspettavano di sentire la voce squillante del corvino.
In un primo momento, l’uomo aveva riso quasi con le lacrime agli occhi. Poi però si era scaraventato sul più piccolo che, tuttavia, non si era mosso di un millimetro.
«Tu, moccioso insolente, chi ti credi di essere?!» aveva urlato.
Subito dopo si sentirono le sirene della polizia. Il signore era sbiancato cercando di trovare un nesso per la situazione. Il corvino non si mosse consapevole di aver chiamato lui i soccorsi, aveva rivolto lo sguardo al suo migliore amico e aveva sorriso:” io ci sono, è tutto finito”.
Aveva osato tutto per salvare il suo amico come un angelo custode.
Il padre era stato arrestato per violenze domestiche dopo la testimonianza dei vicini che sentivano sempre i continui litigi fra lui e il figlio.
Il più grande, finalmente, viveva da solo, essendo maggiorenne, e riusciva a pagare le spese grazie all’eredità della madre. Tutto si era risolto, tutto grazie al suo amico.
«Posso dormire a casa tua? Non voglio stare a casa da solo» aveva chiesto il più grande mentre posava il libro nel suo piccolo zaino consumato.
Il corvino aveva alzato gli occhi, anch’ esso occupato a rivedere gli ultimi compiti scolastici. Il corvino sorrideva al castano che attendeva una risposta.
«Hai bisogno del permesso? Sei di casa, fosse per me, ti avrei già chiesto di trasferirti da noi.» concluse il tutto con un leggero risolino e un sospiro. Si era alzato e, con tutta la sua solita delicatezza, gli aveva sorriso con gli occhi che splendevano, come due gemme preziose.
«Andiamo?» chiese, porgendo l’avambraccio al castano.
«Non sono un vecchietto, non ho bisogno di stare a braccetto a qualcuno.» aveva sputato incurante il ragazzo dagli occhi color giada.
«Lo so, ma è un modo per sentirsi più vicini, non credi?»
Come deciso, erano andati a casa del corvino. Ogni volta che entravano in quella casa c’era sempre un forte odore di vaniglia che deliziava sia il maggior che il minore. Lo smog della città veniva attenuato da quel dolce profumo che inebriava i loro polmoni. La camera del più piccolo era nella media, rispettava appieno la personalità del ragazzo ed era estremamente ordinata.
«Vuoi cantare?» aveva chiesto il ragazzo al più grande, come se gli stesse dicendo che poteva essere se stesso con lui.
Passavano le ore a parlare, non si sa di cosa, era un po’ come quando dici:” abbiamo parlato del più e del meno”. Non è del tutto vero, parlavano dei loro sogni e ed è bello parlare delle proprie speranze con qualcuno che ti ascolta.
« Perché non scriviamo i nostri nomi sul muro, lasciamo la nostra impronta qui. È il nostro rifugio dopotutto» mormorava il minore prendendo un pennarello indelebile dal capiente porta penne.
«E se tua madre lo scoprisse? Su queste cose è molto rigida, lo sai» aveva osservato il castano sospirando.
«Sarà il nostro piccolo segreto, vieni su! Metti la tua firma!» il più giovane se la rideva di gusto, gli occhi brillanti e il sorriso da coniglietto.
Il castano, guardandolo così euforico, non poteva far altro che pensare a quanto fosse fortunato ad avere lui. Grazie a lui, aveva potuto vivere senza il terrore del padre e, sempre grazie a lui, era tornato a sorridere.
«Dovresti uscire con la ragazza del quarto anno! Hanno detto che ha una cotta per te, magari potrei farti da testimone al tuo matrimonio» aveva detto un attimo dopo, il minore mentre il castano scriveva il proprio nome sul muro.
«Si hai ragione— diceva il castano mentre ultimava la firma— magari lo farò» aveva sorriso verso il più piccolo pensando a quanto fosse bello essere libero dalle preoccupazioni.
Mi sento bene,
lascerò andare la tua mano ora
so che sono realmente felice mentre ti guardo
perché sto bene
mi sento bene,
non voglio più essere triste
posso vedere la luce del sole, splendere
perché sto bene,
solo grazie a te.
Anche se un giorno non sarò più me stesso
È okay, solo tu ed io siamo la mia salvezza
Non morirò mai in questo cammino
Come va? Io sto bene
Il mio cielo è pulito
Tutto il dolore è sparito: gli dico addio
Addio.
tutto grazie a te.
Pensava a tutto questo mentre lo guardava e una sola domanda alleggiava nella sua mente: “cosa aveva fatto per meritarsi quel dannato angelo custode?”Inconsapevolmente il castano si era aperto al corvino, rivelando il suo cuore ricoperto, di solito, dalla sua forte corazza. Pensava, il maggiore, che mai sarebbero potuti andare d’accordo eppure era andata diversamente dal suo pensiero. Non tutte le persone vanno d’accordo, ognuno è predisposto verso qualcun altro. Tutti pensavano che quei due non sarebbero mai potuti essere amici, eppure l’amicizia non si sceglie ma si trova. Magari in una giornata di vento quando hai il cuore un po’ più spento ma c’è qualcuno che riesce ad accenderlo solo con il suo sorriso.